Water è un film di Deepa Metha ambientato in India a Varanasi nel 1928 che narra la storia di Chuya, una vedova-bambina strappata alla sua vita di bambina e rinchiusa all’interno di un ashram che ospita altre vedove.
Nell’antica tradizione indiana donne giovani, spesso bambine, venivano promesse o fatte sposare con uomini adulti. La giovane sposa rimaneva nella casa materna fino al raggiungimento dell’età adulta e poi a seguito della precedente promessa di matrimonio si trasferiva a casa del marito e ne diventava la sposa a tutti gli effetti.
Una donna rimasta vedova aveva tre possibilità: ardere col cadavere del marito (le vedove suicide che si immolano nella pira funebre del marito sono chiamate sati), sposare il fratello minore del defunto o smettere di vivere diventando una sorta di “intoccabile”, rinchiudendosi in un’ashram (convento o monastero di clausura) dove conducevano una vita semplice e da cui si usciva solo per elemosinare. Secondo gli antichi testi sanscriti la vedova doveva avere la testa rasata, non indossare alcun ornamento, non poteva masticare betel e mettersi fiori, profumi ornamenti e vestiti colorati e doveva rimanere in lutto perpetuo indossando solo vestiti bianchi. Doveva rispettare i digiuni ed evitare i cibi piccanti, mangiare in recipienti di bronzo in modo da raffreddare la sua energia sessuale, doveva rimanere casta devota e fedele alla memoria del marito. Se la donna si risposava condannava all’inferno l’anima del defunto marito e della famiglia di lui.
La tradizione del suicidio delle vedove è stata abolita nel 1956 con il Widow Remarriage Act, e comunque questa legislazione non ha rimosso tutte le costrizioni delle vedove e anche negli anni più recenti sono stati documentati episodi di vedove che si sono immolate nelle pire del defunto marito, episodi avvenuti soprattutto in zone remote dell’India del nord dove questa tradizione è più radicata.
Il titolo del film è un omaggio all’elemento che ha una pluralità di significati nella simbologia indiana: come simbolo di purificazione che lava via e purifica, come luogo da cui nasce la vita che trasporta aria ed energia vitale, ma è anche dove alla fine riposano le ceneri del defunto nel ciclo di vita e rinascita. Ogni comunità indiana ha la sua “vasca sacra”, un luogo di preghiera e silenzio dove si ritrovano per pregare, per discutere, per celebrare riti religiosi come i numerosi ghats, lunghe scalinate che scendono verso questi bacini dove si svolge gran parte della vita quotidiana degli indiani.